“L’Irpinia è una terra piena di problemi, non c’è futuro qui”. Quante volte abbiamo sentito pronunciare questa frase? Per me però le soluzioni devono arrivare dai cittadini.
L’obiettivo del mio blog alla fine è questo: quello di raccogliere idee e segnalazioni dei cittadini che hanno voglia di cambiare le cose.
(Entra nel gruppo Whatsapp. Riceverai le segnalazioni, le idee e le vittorie ottenute da noi cittadini. Ti aspetto!).
Oggi parleremo dell’idea di Andrea Mastroberti, 16enne molto legato ad Avellino che ha voluto fare una proposta all’amministrazione comunale.
Si riparta dal turismo
«Per il futuro di Avellino ho pensato che bisognerebbe creare una rete turistica», ha esordito Andrea.
«Si potrebbe partire dal posizionamento delle classiche cartellonistiche d’indicazione e informative nelle strade della città e vicino ai monumenti principali».
«Un’altra idea è puntare sulla creazione di mappe interattive e tecnologiche da mettere nei luoghi strategici della città».
Ad Avellino non si è mai puntato molto sul settore turistico, eppure questa potrebbe essere un’ottima strategia per risollevare l’economia locale e per dare visibilità al nostro territorio.
Perché nessuno punta sul turismo?
Andrea ha deciso di dare la sua idea sulla questione cultura e turismo ad Avellino: «Credo che nessuno si sia mai interessato allo sviluppo turistico della città».
«I monumenti che abbiamo non vengono valorizzati, il turista non è invogliato a visitarli».
Andrea vive nella provincia di Napoli anche se ha una famiglia di origine irpine, i nonni e la mamma sono di Roccabascerana.
Nonostante lui non viva qui, ha un forte legame con l’Irpinia e in particolare con Avellino.
«Scendo spesso in città anche per fare solo una passeggiata – ha detto Andrea -. Penso che Avellino non abbia fatto molti passi in avanti per diventare un luogo a misura di giovane».
Avellino e i giovani
«Credo si debbano migliorare le attrattive per invogliare i giovani a restare. Molti ragazzi sono andati via per la mancanza di opportunità anche se amano questa terra», ha sottilineato Andrea.
«Al di là del problema sul futuro lavorativo dei giovani, Avellino potrebbe migliorare molto su tante altre tematiche: dalle strutture sportive, all’inclusione sociale, divertimento, intrattenimento e così via».
Avellino che futuro ha?
Andrea è molto ottimista sul futuro di Avellino. «Fin’ora non c’è stata una vera voglia di creare opportunità. Sono convinto che questa città possa tornare a risplendere».
«Avellino ha bisogno di essere curata e amata da tutti. Bisogna ripartire dai giovani».
Per il 16enne infatti bisogna innovare un po’ la città perché molto spesso si tende a pensare Avellino solo in un’ottica post terremoto.
«Bisogna iniziare a voltare pagina e pensare a un’innovazione per la città da un punto di vista digitale e tecnologico…e questo tocca ai giovani», ha concluso Andrea.
Piantare alberi in giro per il mondo per combattere contro il cambiamento climatico e aiutare le comunità contadine.
Sono questi gli obiettivi di zeroCO2, una società benefit nata nel 2019 che conta su un’equipe di soli giovani. Età? Tra i 20 e i 30 anni.
Cos’è zeroCO2?
Andrea Quattrocchi, 22enne del team di zeroCO2 ci ha spiegato nel dettaglio in cosa consiste la realtà in cui lavora da circa un anno.
ZeroCO2 è nata nel novembre 2019 in Guatemala dall’idea di un italiano, Andrea Pesce, e di un guatemalteco, Virgilio Galicia.
ZeroCO2 si occupa di riforestazione ad alto impatto sociale. «Gestiamo progetti in diverse parti del mondo, in particolare in Perù, Guatemala e Argentina».
«Tutti gli alberi che piantiamo sono donati a famiglie contadine generando in primis una sicurezza alimentare grazie ai frutti prodotti dagli alberi e poi un supporto economico perché molti contadini possono rivendere i frutti prodotti in eccesso».
Formazione, motore della sosteniblità
Oltre alla piantumazione e alla donazione di questi alberi, zeroCO2 si occupa insieme alla onlus Comparte di formare le comunità contadine locali sull’importanza di un’agricoltura sostenibile.
«Riteniamo che l’educazione sia il motore dello sviluppo sostenibile. Abbiamo sviluppato una tecnologia per il tracciamento e la trasparenza chiamata Chloe», ha spiegato Andrea.
Con un Qr code, zeroCO2 traccia gli alberi e invia monitoraggi periodici sullo stato di salute a chi aveva deciso, mesi prima, di donarla a una comunità contadina.
Social e successi
Grazie al mondo dei social, zeroCO2 riesce a sensibilizzare molto anche i cittadini e soprattutto i giovani sull’importanza della lotta al cambiamento climatico.
«Abbiamo uno stile comunicativo molto diretto alla sensibilizzazione e non esclusivamente al marketing».
In meno di due anni di attività Andrea e Virgilio, con il supporto dei team italiano e guatemalteco, sono riusciti a piantare oltre 380mila alberi in tutto il mondo, aiutando numerose attività contadine e compensando quantità enormi di CO2 immessa in atmosfera.
«In Italia non facciamo riforestazione perché la copertura forestale nel nostro paese è in crescita – ha detto Andrea -. Qui collaboriamo con delle cooperative sociali a cui doniamo degli alberi da frutto o forestali per inserirli in progetti ad hoc».
Le cooperative usano le piante per attività che variano molto tra loro ma sempre con un forte impatto sociale.
Si passa infatti dalla fattoria didattica per i bambini alla sistemazione di terreni confiscati alla criminalità organizzata oppure a progetti per aiutare gli ex tossicodipendenti o i diversamente abili. «È una vera e propria agricoltura sociale».
Andrea e il cambiamento climatico
Andrea ha raccontato di essersi avvicinato alle tematiche della lotta al cambiamento climatico dopo un viaggio in Indonesia.
«Mi ha aperto molto gli occhi sul problema della sfrenata crescita economica degli ultimi anni. Ho visto delle situazioni di disagio molto pesanti causate dal cambiamento climatico che a differenza di qui si nota molto di più».
Dopo gli studi sulla Sharing Economy, Andrea si è ancor di più interessato alle tematiche del vivere sostenibile e appena si è laureato, ha deciso di guardare un po’ in giro le varie società che in Italia stessero facendo qualcosa di concreto contro il cambiamento climatico.
«Ho contattato Andrea che disponibilissimo mi ha ascoltato, ci siamo conosciuti e ho iniziato a lavorare con loro».
L’opinione della gente
Dopo questo primo anno circa di lavoro con zeroCO2, Andrea ha fatto un bilancio sulle persone incontrate nelle varie formazioni e attività.
«Incontrare qualcuno che non credesse in quello che facciamo non mi è mai capitato. Ho trovato moltissima gente entusiasta del progetto e anche persone che non sanno tanto di cambiamento climatico e non sanno quale possa essere il valore della riforestazione per combattere questo problema».
«Sto trovando molta gente che però si sta aprendo questi nuovi temi con spirito positivo».
Italia e lotta all’inquinamento
Andrea ci ha poi dato il suo punto di vista riguardo la posizione che l’Italia sta avendo nella lotta al cambiamento climatico.
«Per me non siamo proprio indietro come Italia e come Europa. Stiamo dando l’esempio a tanti altri paesi. Noto però con dispiacere che nel Recovery Fund pochi fondi sono stati dedicati alla conversione green rispetto ad altri Stati come Germania e Francia».
«Siamo indietro rispetto ad altri paesi del nord Europa ma non più avanti di tanti altri. Si può comunque fare di più».
Il ruolo delle scuole
Per Andrea «è fondamentale l’educazione al mondo sostenibile. Le scuole devono iniziare a integrare materie e a organizzare attività per formare gli studenti sul cambiamento climatico».
«Con zeroCO2 stiamo pensando di organizzare dei progetti proprio con le scuole. Abbiamo pubblicato anche un gioco dedicato agli studenti e realizzato un progetto, Revolution, in cui abbiamo organizzato delle formazioni nelle scuole italiane».
«Io personalmente vedo un interesse maggiore nelle future generazioni – ha sottolineato Andrea -. C’è molta più attenzione verso queste tematiche».
«Ci sono ragazzi che anche da soli si informano su questi argomenti. L’ultima generazione si sta impegnando più di quelle precedenti».
L’esperienza di Andrea
Per descrivere la sua esperienza in zeroCO2 Andrea ha scelto la parola impatto.
«Impatto inteso come un qualcosa di positivo sia sotto il punto di vista ambientale, sia sotto quello sociale. Dal punto di vista professionale poi, zeroCO2 mi ha dato tanto».
Le comunità locali
Le comunità locali che ricevono nuovi alberi da frutto non vedono la cooperazione come un qualcosa che termina all’atto della donazione dell’albero.
«Oggi i cittadini del Guatemala ci vedono come partner e non più come cittadini italiani ed europei che vengono e regalano alberi».
«Loro sanno che la macchina funziona grazie allo sforzo di tutto il team, in Italia e in Guatemala. Abbiamo fatto anche dei primi meeting con loro. Ci hanno trasmesso davvero tante belle emozioni», ha concluso Andrea.
Basta lamentarsi e dire Mai una gioia. È arrivato il momento di fare del bene e rendere felici le persone che ci sono vicine. Nasce così il ‘Na Gioia Project.
Si tratta di un’iniziativa della Gioventù Francescana Campania iniziata il primo gennaio 2021. Oggi ce ne parlerà Domenico D’Angelo, uno degli ideatori.
Dall’inizio dell’anno, cinquanta ragazzi hanno iniziato a stare vicino alle fasce più deboli della loro comunità regalando gioie e sorrisi e risolvendo tanti piccoli problemi.
Le azioni buone portate avanti sono tante: dal fare compagnia agli anziani soli al bar, al donare capelli o sangue a chi ne ha bisogno, al distribuire pacchi alimentari a chi è in difficoltà.
Come nasce ‘Na gioia Project?
«La diffusione del motto “Mai una gioia”, in apparenza goliardico, ci ha fatto riflettere. Può nascondere un messaggio pericoloso: la rassegnazione verso la vita», ha detto Domenico.
«Con l’inizio della pandemia poi questa frase ha preso il sopravvento. Volevamo raccontare la possibilità di gioire, il segreto dell’allegria». Il messaggio è semplice e potente: fare del bene una volta al giorno.
Così Domenico e i suoi, hanno radunato cinquanta ragazzi da diversi posti della Campania.
Ognuno ha un compito: fare la sua buona azione una volta al mese, ha spiegato Domenico.
«Vedo il mio territorio, mi giro intorno e noto che ci sono tanti motivi di gioia. I giovani sono chiamati a guardare con occhio critico le situazioni che si presentano davanti e coglierne sempre il lato positivo».
«L’idea è: guarda il grigio intorno e coloralo. Crea una semplice opportunità nei casi di maggiore sofferenza».
‘Na gioia project è iniziato il primo gennaio 2021 e oggi ha raggiunto le 163 gioie, l’obiettivo è arrivare a 365 gioie.
«Questa sfida e questo obiettivo ci gasano come se fossimo all’interno di una missione che tutti vogliamo portare a termine», ha detto Domenico.
«È fondamentale in questo progetto dare valore a tempo. Molti giovani provano una sensazione di incapacità e impotenza davanti al tempo. Non gli si dà valore solo con il lavoro o lo studio, ma anche dedicandosi agli altri».
Quelli di ‘Na gioia project, sono giovani che hanno vite piene ma riescono a riempire anche quelle degli altri.
«Noi lo facciamo quasi per “egoismo” – ha rivelato Domenico -. Ci fa stare bene vedere gli altri sorridere, regalare gioie e cambiare piccole situazioni di disagio nelle nostre comunità».
Progettare a distanza
Domenico ha raccontato che all’inizio conosceva solo pochi dei ragazzi e delle ragazze che hanno aderito al progetto.
Il gruppo si è formato e conosciuto online. Anche se a distanza infatti, i partecipanti hanno avuto la possibilità di capire come approcciarsi al meglio alle varie situazioni e a non mettersi a un livello superiore rispetto a chi è in difficoltà.
«Nonostante le iper restrizioni e le zone rosse, ciascuno è riuscito a trovare un esempio ovunque, anche nella propria casa».
Il potere dei social
Il team di ‘Na gioia project, condivide tutte le storie raccolte, gli aiuti dati e i problemi risolti, sui social.
Sulla pagina Instagram ufficiale dell’iniziativa infatti, ogni giorno attraverso delle foto e dei brevi testi i giovani raccontano le loro esperienze.
«Condividiamo tutto sui social per far assaporare alla gente queste gioie ogni giorno».
Team e partecipanti
Il progetto è stato messo su in primis da Domenico, dal suo amico Francesco e da un’equipe di 5 ragazze. Oggi vanta circa cinquanta ragazzi e ragazze dai 18 ai 30 anni.
I partecipanti non sono tutti Cristiani. «Abbiamo persone di tutti i credi, ideologie. L’importante è arrivare a un obiettivo comune: la diffusione della gioia e del far stare bene gli altri», ha affermato Domenico.
La forza della condivisione
Per descrivere questa esperienza, Domenico ha scelto la parola squadra. «Da solo non puoi pensare di poterti dedicare a questo progetto. La condivisione è stata la chiave di tutto».
«Vogliamo appena sarà possibile vederci da vicino. Se questo progetto avrà un’evoluzione si fonderà sul contatto umano e sulle relazioni…su una grande squadra».
Le storie di ‘Na gioia project
Le storie raccontate sui social sono una più bella dell’altra. Domenico ci ha spiegato che con il progetto hanno dato voce soprattutto ai nuovi poveri. Una delle gioie infatti ha visto protagonista un musicista che a causa della pandemia si è trovato senza lavoro.
Questo artista ha ricevuto gratuitamente un sito internet per tornare di nuovo a diffondere la sua musica e a guadagnarsi da vivere.
Ci sono poi persone che per esempio hanno aiutato famiglie in difficoltà o altre che hanno dato lezioni di italiano gratuite agli stranieri per farli integrare.
«Sono idee tutte semplici ma che hanno reso felici gli altri», ha commentato Domenico.
Dubbi e futuro
Domenico ci ha rivelato i dubbi sulla partenza del progetto. «All’inizio abbiamo pensato che potesse essere molto complicato soprattutto per la situazione Coronavirus».
«Ci siamo resi conto però che c’era e c’è una forte esigenza comune di gioia. Il trend del mai una gioia è falso. Non rispetta ciò che i giovani vogliono».
Quando il progetto è partito, le richieste di collaborazione sono state tante. L’idea è quella di continuare anche l’anno prossimo. Ora però Domenico e tutti i partecipanti sono concentrati sul primo obiettivo: assicurare a tutti una gioia al giorno.
«Noi avevamo paura di cominciare perché il fallimento fa paura quando ci metti la faccia e tutto te stesso. Non ci siamo fatti frenare da questo. Persa una missione infatti, non è detto che non se possa iniziare un’altra».
Le difficoltà
Potendo contare su cinquanta giovani, non è sempre semplice organizzarsi nel lavoro, far conciliare gli impegni di tutti e gestire gli imprevisti.
Proprio per questo, il team di ‘Na gioia project, ha pensato di redigere una lista di gioie impreviste, da scongelare in caso di emergenza. Gesti sempre semplici ma più usuali come portare degli indumenti puliti al clochard del paese o andare a donare il sangue.
«Un’altra difficoltà è l’estate – ha detto Domenico -. Dire 365 giorni significa che il 25 dicembre devi organizzare una gioia, così il 15 agosto quando vorresti stare sotto l’ombrellone».
«L’ottica è quella di non far diventare un’ansia raccontare una gioia. Si tratta di vivere una situazione positiva per gli altri circa una volta al mese per ogni ragazzo. Io pensavo quanto fosse assurdo non riuscire a donare un pezzetto di tempo ogni trenta giorni. Dire che non si ha tempo è una bugia».
Far parte di ‘Na gioia project
Per accedere al progetto è stato creato un form Google. I partecipanti si sono prima formati e poi sono entrati in un gruppo Whatsapp per le varie comunicazioni.
Ogni mese ci si prenota per quello successivo. «Ciascuno individua la propria gioia che non deve nascere e finire in un giorno ma deve avere una progettualità, deve essere incisiva», ha detto Domenico. Una volta vissuta la gioia, la si condivide attraverso delle foto o dei brevi testi che andranno a finire sui social.
«Il mese scorso hanno aderito dieci nuovi ragazzi. Di tanto in tanto facciamo nuove “chiamate alle armi” sui social – ha concluso Domenico -. Chi è affascinato al progetto può scriverci in privato e vedremo come farlo entrare nel team»
Con la didattica a distanza sempre più famiglie e studenti si sono trovati isolati nelle proprie case a causa di carenti infrastrutture. Uno dei problemi maggiori però, da molti sottovalutato, è stata la mancanza di dispositivi adatti al collegamento da remoto.
È da questa necessità che nasce il progetto Pc4u.tech. Quattro 19enni di Milano infatti hanno unito le loro forze e dato vita a una start up capace di raccogliere, sistemare e donare dispositivi usati alle famiglie in difficoltà per garantire lo studio a tutti gli studenti in dad di Milano e dell’Hinterland.
Tutto è iniziato con il lockdown
La mente principale del progetto Pc4u.tech è Jacopo Rangone, 19enne milanese. «Pc4u è nato circa un anno fa. Ho avuto l’idea di creare una piattaforma web che potesse raccogliere dispositivi da destinare ai ragazzi in difficoltà economiche di Milano e dell’Hinterland per garantire a tutti di seguire le lezioni anche a distanza», ha detto.
Jacopo ha spiegato che con l’inizio del primo lockdown e della chiusura delle scuole, sentendo amici e coetanei, si è accorto che il problema della mancanza di dispositivi tecnologici per seguire le lezioni (digital device ndr) era molto diffuso.
Ho visto che a Milano non c’era nessun ente che aiutasse in modo efficiente queste famiglie in difficoltà».
Così Jacopo ha deciso di mettersi in gioco. Ha contattato Matteo Mainetti, un suo grande amico che condivide le sue passioni per la tecnologia e per le start up, poi Emanuele Sacco, un ragazzo con numerose competenze tecnologiche che ha portato con sé Pietro Cappellini nella veste di grafico del progetto.
Come funziona Pc4u?
Tutto avviene via web. Il sito, creato dai quattro giovani milanesi, è molto semplice e intuitivo. Ci sono due bottoni: uno dedicato alle donazioni di dispositivi e un altro alle richieste.
I device possono essere donati sia da cittadini e sia da aziende. Grazie all’aiuto di un’organizzazione no-profit e delle donazioni dei cittadini, i dispositivi vengono ricondizionati, sistemati e confezionati per essere direttamente consegnati a casa di chi ne abbia fatto richiesta.
Digital device: un problema diffuso
«Non penso ci sia grande differenza tra le fasce d’età. Il numero di ragazzi senza dispositivi è equamente distribuito tra gli studenti di ogni ordine e grado», ha svelato Jacopo.
«Quello del digital device è un problema concreto in tutta Italia. Pensare che una famiglia su tre in Italia non abbia un dispositivo è assurdo. I numeri anche in regioni “benestanti” come la Lombardia non sono rassicuranti. È grande il problema».
Secondo le statistiche, infatti, nel nostro Paese il 33,8 per cento delle famiglie non ha un tablet o un computer in casa mentre il 57 per cento degli studenti ne ha solo uno e lo deve condividere con tutta la famiglia.
Questo problema per i ragazzi i Pc4u, non si colma con la fine della didattica a distanza e il ritorno tra i banchi di scuola.
La didattica e il mondo infatti saranno sempre più smart e digitali e i supporti tecnologici saranno sempre più necessari per lavorare e studiare.
Come assegnate i dispositivi?
Jacopo ha spiegato anche il procedimento di assegnazione dei dispositivi raccolti e donati dai privati. Quando si fa richiesta di un tablet o un pc infatti è necessario inserire il codice fiscale dello studente e il codice Isee.
L’obiettivo è stanare eventuali malintenzionati e dare una mano davvero alle famiglie con fasce di reddito basse.
«Non ci è mai capitato di dover rifiutare qualcuno che avesse un Isee troppo alto», ha detto Jacopo.
La prima collaborazione
«La prima collaborazione aziendale è stata con un fondo che ci ha donato dei portatili e altri dispositivi. Siamo andati a noi a ritirarli in centro a Milano ed è stato molto emozionante».
«Abbiamo tante aziende che ci hanno donato centinaia di dispositivi», ha continuato Jacopo.
Come si apprende dal sito ufficiale di Pc4u.tech infatti, tra le società che hanno collaborato con la realtà ci sono tanti grandi nomi come l’azienda Amadori, la DHL Express Italy e il gruppo Montenegro.
Espansione in altre regioni?
A questa domanda Jacopo ha risposto dicendo: «Stiamo un po’ cercando di capire come l’espansione possa essere possibile per portare altrove in Italia Pc4u».
«C’è bisogno di altri progetti di questo tipo in tante diverse aree del territorio italiano».
Media e successo
Grazie alla loro idea, i quattro milanesi sono saliti alla ribalta delle cronache nazionali venendo intervistati ben due volte dal Tg1. Sono stati ospiti di una puntata di “Che Tempo Che Fa”, trasmissione diretta da Fabio Fazio.
«L’appoggio dei media non ce lo aspettavamo anche se ce lo auguravamo – ha detto Jacopo -. Siamo però consapevoli che il nostro progetto sia l’unione di ingredienti unici come l’inclusione, la pandemia e il digitale.
Quattro ragazzi di Milano di 18 anni che sfruttano una problematica attuale e la risolvono non è una storia di tutti i giorni».
Dad all’estero
Jacopo la didattica a distanza l’ha vissuta all’estero poiché in durante il primo lockdown causato dal Covid, stava studiando in Inghilterra.
«Questo sistema presenta i suoi limiti. Penso che il futuro dell’Italia sia nell’equilibrio. Il digitale non potrà mai del tutto sostituire la didattica in presenza ma ci siamo resi conto dell’importanza del digitale. Credo molto nella didattica in presenza ma il digitale apre a nuovi orizzonti ed è necessario».
«Pc4u? Un’assurdità»
Jacopo ha scelto una parola per definire la sua esperienza nel creare il progetto Pc4u.tech.
«Parola? Direi assurdo. Perché la nostra è stata davvero un’esperienza assurda. Non avremmo mai potuto immaginare tutto ciò. È stato del tutto fuori da ogni schema e previsione. Il susseguirsi di questi eventi non l’avrei mai potuto immaginare in un solo anno».
Futuro e giovani
Il sogno di Jacopo è lavorare nel mondo dell’imprenditoria, delle start up e dell’innovazione. «L’obiettivo è fare qualcosa che mi piaccia applicando le mie passioni».
Parlando del futuro dell’Italia e dell’attuale classe politica Jacopo ha detto: «Penso che in Italia manchi una classe politica con carattere e spessore. Non ci sono forze politiche forti».
«Oggi ci sono solo figure deboli al comando di partiti altrettanto deboli. Quello che mi auguro è che le nostre generazioni possano portare avanti una classe politica più solida, che non sia fondata su una singola persona ma sui progetti che ci sono dietro. Manca progettualità. Sono fiducioso in noi ragazzi», ha concluso. Speriamo abbia ragione.
Samuele Tomasselli è un 19enne di Todi che sin dalle medie si è speso per la comunità organizzando iniziative benefiche a sostegno delle fasce deboli.
Con gli anni ha raggiunto grandi risultati riuscendo perfino a finanziare la costruzione di una scuola in Africa e ad assicurare dei beni di prima necessità per i terremotati croati.
I primi passi
«Gli anni delle medie sono stati un periodo buio, ho avuto molte difficoltà a relazionarmi con le persone, non avevo hobby ed ero svogliato – ha esordito Samuele -. Oltre ad avere voti pessimi (6 in condotta e 6 all’esame di terza media), le uniche passioni che avevo erano la lettura e la vocazione verso la Chiesa».
Samuele è uno di tre fratelli e viene da una famiglia che ha sempre avuto un forte spirito religioso.
«Quando con i miei non mi trovavo per niente passavo tutti i pomeriggi all’oratorio della città in cui vivo (Todi ndr)».
«Ho conosciuto quattro ragazzi tra i 20 e i 25 anni che avevano deciso di vivere aiutando gli altri. Avevo 12 anni e per me sono stati un esempio».
Così ha iniziato anche lui partendo dalle raccolte alimentari. Nonostante avesse 13 anni, Samuele ha poi partecipato al Grest, campi estivi organizzati dalla Curia. Aveva duecento ragazzi da gestire come capo animazione.
«È stato il momento più importante della mia vita. Non avendo nessuna ambizione, l’unica cosa che contava era aiutare il prossimo».
I campi di lavoro
Samuele ha dedicato anche l’estate agli altri. Ha partecipato infatti negli anni scorsi a due campi di lavoro: uno a Rimini e uno in Piemonte a Vercelli.
Qui i volontari come Samuele hanno aiutato degli ex terremotati che erano rimasti senza acqua ed elettricità. A causa di una lieve scossa avevano perso di nuovo tutto.
«Finito questo periodo ho continuato ad aiutare i ragazzi dell’oratorio. Quando sono diventato rappresentante di istituto c’è stata un’altra rivincita», ha confessato.
Questo è il terzo anno di rappresentanza per Samuele. È stato eletto sempre come candidato più votato. A scuola ha voluto subito portare progetti simili a quelli che faceva con l’oratorio. «Cercavo sempre di metterci qualcosa di sociale».
I progetti fatti in tre anni sono stati tanti. Dalla band di istituto che si è esibita nelle case di riposo durante il periodo di Natale, ad altre decine di iniziative benefiche che hanno coinvolto tutta la comunità di Todi.
La scuola in Africa
Un altro progetto ideato da Samuele e portato avanti insieme ai suoi amici e professori, è stato la costruzione di una scuola in Africa.
«Tramite il nostro professore di religione abbiamo inviato delle mail alle ditte che fanno panettoni. La Maina ci regalò circa 1200 panettoni e noi siamo andati a prenderli a Varese».
«Li abbiamo impacchettati e li abbiamo venduti raccogliendo 16mila euro. Con una Onlus abbiamo costruito una scuola in Africa con due stanze e un bagno».
Le iniziative con il Covid
«Sotto Natale durante il Covid, abbiamo raccolto vestiti e beni di prima necessità che abbiamo poi inviato a 500 famiglie individuate con il settore dei servizi sociali del comune di Todi», ha continuato Samuele.
Il 6 gennaio a pochi chilometri da Zagabria c’è stato un terremoto. La Protezione Civile di Todi si era organizzata per inviare un camion con beni di prima necessità in Croazia.
«Ci siamo organizzati Abbiamo iniziato a ritirare i beni da tutte le famiglie che volevano donarli arrivando a mille pacchi tra vestiti e beni di prima necessità».
«A Pasqua invece abbiamo venduto uova di cioccolato e comprato alimenti di prima necessità che abbiamo destinato alle famiglie con più difficoltà».
La locandina dell’iniziativa pasquale
Dubbi e aiuti
«Quando abbiamo fatto la scuola in Africa, il primo a non crederci ero io. Quei compagni che pensavano che non avremmo raggiunto nessun risultato, hanno cambiato idea vedendo come procedevano i progetti».
«Eravamo partiti in 5 e siamo arrivati in 60 e la maggiore soddisfazione è che tra questi c’erano anche coloro che avevano criticato le nostre idee».
Il sindaco di Todi, la Protezione Civile, la scuola e l’oratorio hanno sempre sostenuto i progetti di Samuele dando un valore aggiunto a tutte le sue idee a sostegno delle fasce più deboli della popolazione.
«Non sempre è stato facile. Avevo i bastoni tra le ruote dagli studenti più grandi. Non sopportavano che avessi 16 anni quando ho iniziato come rappresentante – ha detto Samuele -. All’inizio era come se dovessi lottare contro tutto e tutti».
Le prossime iniziative
A fine maggio Samuele organizzerà una raccolta viveri e il banco alimentare come ogni anno.
Le amiche di Samuele al banco alimentare
«C’è una volontà tra i ragazzi indescrivibile – ha rivelato il 19enne con soddisfazione -. Un’altra fortuna è che il nostro dirigente fa parte della direzione della Caritas del comune di Todi e ci dà sempre una grande mano».
Per Samuele la prima parola è osare provocarci sempre. Ci ha svelato il suo motto: «Osare credere, spavaldi essere».
Il futuro
Samuele ha le idee chiare sul suo futuro. «Voglio entrare nel settore finanziario. In qualsiasi posto andrò voglio aiutare chi è lì».
«Mi sono visto in un prima e un dopo. La persona che ero prima è un alter ego di quello che sono ora. Nella mia scuola non mi andava bene com’erano le cose. Così mi sono messo in gioco per cambiarle».
Genitori d’esempio
«In quello che ho fatto non mi sono ispirato a nessuno. È stato sempre importante trovarsi al posto giusto al momento giusto», ha raccontato Samuele.
«Se devo indicare una persona che mi ha aiutato nel percorso sociale ti posso dire la mia famiglia – ha detto-. Anche se alle medie non ci legavo molto. Nei miei genitori vedo il più bell’esempio del passare la vita a servizio degli altri. Si mettono sempre a disposizione per il prossimo».
Il covid
Samuele ci ha poi parlato dell’emergenza Covid. «Come dice sempre una mia collega di consulta: ho un difetto, vedo sempre un bicchiere mezzo pieno».
Il covid ha precluso lo svolgimento di tante attività e idee che Samuele aveva in mente. D’altra parte però, ha spiegato Samuele, gli ha dato possibilità di svolgere attività che nessuno aveva mai fatto prima.
«Il momento più alto che ho vissuto come rappresentante è stata l’assemblea regionale contro le mafie. Ho intervistato, davanti a 25 mila persone, tre esponenti della lotta contro le mafie: qualcosa che nessuno ha mai fatto e che non sarebbe stato possibile senza il covid», ha concluso Samuele.
«Tutto è iniziato a giugno 2020. La situazione era abbastanza drammatica. Cercavamo un’idea per fare qualcosa di utile per chi è in difficoltà. Un progetto che fosse utile e bello», così nasce il progetto musicale benefico Soldati.
Creato da Andreina Ariano e Pierluigi Milosa. con l’associazione AVSI per dare una mano a chi più sta soffrendo l’emergenza Coronavirus.
I due ragazzi hanno raccolto, in musica, testimonianze da tutta Italia di chi ha affrontato il Covid in prima persona.
La canzone del progetto
Soldati: dare voce alle vittime del Covid
«L’idea che mi era venuta era quella di dare voce alle persone che avevano vissuto l’incubo del Coronavirus – ha spiegato Pierluigi -. Io personalmente per fortuna, non ho avuto contatti in alcun modo con questa malattia e perciò non mi sentivo in diritto di poterla raccontare da solo».
«Ho chiesto così ad alcune persone di raccontarmi la loro esperienza per poi scriverne una canzone. Volevo creare un progetto benefico, che desse una mano, anche se non avevo ancora chiaro tutto il percorso»
Pierluigi e Andreina hanno contattato famiglie, medici e forze dell’ordine che hanno combattuto, chi direttamente, spesso in prima linea, il covid. Alcune di queste sono volute restare nell’anonimato.
«Ho trovato molta apertura. Qualcuno non sapeva cosa dire. È un’esperienza che a volte lascia senza parole e a volte non sai come raccontare al meglio. Da dove partire per non lasciarti dietro nulla di importante».
Pierluigi Milosa e Andreina Ariano che hanno contribuito alla realizzazione del progetto.
Le testimonianze più toccanti
«Una pneumologa di Milano che ha vissuto i primi mesi in una maniera terribile, è rimasta molto scossa – ha detto Andreina -. Non riusciva a dirmi nulla».
«Questo silenzio è stato un elemento importante. Da parte di chi ha vissuto la malattia c’è, anche, voglia di dimenticare. Di mettersi tutto dietro le spalle».
«Siamo stati coinvolti appieno da questo progetto dando la forma più bella possibile a questa canzone».
Pierluigi ha raccontato la testimonianza di un poliziotto. “Io sono poliziotto, ho questa divisa che però non mi trasforma in Superman” con queste parole l’agente ha spiegato la sua lotta in prima linea contro il virus ricordando i 22 giorni di distanza dalla famiglia.
Un medico poi ha lanciato un forte appello. Nel parlare con loro infatti ha detto: “In ospedale si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”.
Proprio questa frase, rieditata dalla celebre poesia Soldati di Ungaretti, ha poi dato il nome al progetto.
Passo dopo passo fino alla pubblicazione
«La canzone era pronta intorno ad agosto. Poi c’è stato un periodo in cui la situazione è peggiorata e non abbiamo potuto registrare nulla. Abbiamo aspettato a febbraio e così la canzone è uscita il 31 marzo», ha detto Pierluigi.
«Quando ho raccolto le testimonianze c’è stato un lavoro di riarrangiamento. Qualcosa ho dovuto tagliarla a malincuore cercando di cogliere l’essenza di quei racconti».
È poi partito tutto il processo di adattamento testuale e arrangiamento musicale grazie anche alla collaborazione gratuita di alcuni giovani musicisti.
«La canzone andava pubblicata e anche l’occhio vuole la sua parte – ha detto Andreina -. Abbiamo cercato di trovare qualcosa che sostenesse il peso del testo. Le nostre facce non erano molto adatte alla situazione».
Andreina e Pierluigi hanno così iniziato a riflettere. All’inizio l’idea era quella di produrre un cartone animato e poi sono arrivati alla sand art (arte con la sabbia ndr).
«La sand artist è stata una persona così creativa da sostenere le nostre idee un po’ folli. Ha capito le esigenze di chi aveva lavorato al testo e ha tenuto fede alla propria percezione di quello che abbiamo raccontato».
Una delle immagini create dalla sand artist.
Il progetto benefico
L’intenzione era quella di dare una mano a chi sta più soffrendo a causa di questa pandemia.
Hanno così scelto di associare il progetto Soldati all’associazione Avsi e in particolare alla campagna Tende che punta a sostenere le famiglie attraverso sussidi in termini economici, supporti psicologici ai bambini, distribuzione di materiale igienico sanitario e di sussidi per la Didattica a Distanza.
I primi risultati: come donare
«Qualche feedback già ci è arrivato nonostante non sia passato nemmeno un mese dalla pubblicazione della canzone. Spero che la canzone possa stimolare la raccolta per obiettivi più alti».
Per dare una mano ad Avsi, ci sono due possibilità. Un canale è quello della donazione diretta a Fondazione AVSI inserendo l’iban IT 22 T 02008 01603 000102945081 e la causale “Soldati di Pierluigi Milosa per AVSI“.
Un’altra possibilità è quella di usare la piattaforma gofoundme.
Per ora il progetto ha già raccolto oltre seicento euro (250 sulla piattaforma online e circa 350 con le donazioni dirette).
“Io sono poliziotto, ho questa divisa che però non mi trasforma in Superman”
«Avevo l’obiettivo di raccogliere tra i 1000 e i 1500 euro – ha detto Pierluigi -. Siamo già a buon punto. Ovviamente oggi è complicato diffondere l’iniziativa. Stiamo puntando molto sui social, sulle testate giornalistiche e sui programmi televisivi».
«Speriamo presto di poter diffondere questa iniziativa liberamente e speriamo che il progetto arrivi a più orecchie possibili. Sono convinto che gli italiani siano disposti ad aiutare. Speriamo che questa canzone arrivi alle orecchie di quanta più gente possibile».
Covid: la fine è vicina?
Con Pierluigi e Andreina ci siamo soffermati anche sulla pandemia di Coronavirus che stiamo vivendo in questo momento.
«Credo che non stiamo tornando a un anno fa – ha detto Pierluigi -. La percezione è quella lo so. La curva dei contagi scende e poi torna a salire. Io però la vedo in ottica positiva. I vaccini ci sono. In Italia pecchiamo un po’ di organizzazione. Dobbiamo tenere duro, rispettare le norme però non dobbiamo pensare che siamo a un anno fa. Abbiamo delle cure e dei vaccini. La situazione ritornerà alla normalità presto».
«I concerti live con il pubblico mi mancano molto. Ma non credo che passeremo un’altra Pasqua come quella di quest’anno. Abbiamo fatto grandi passi in avanti. Aver avuto un vaccino in tempi così brevi è tanto. Non dobbiamo farci prendere dallo sconforto».
Andreina non è dello stesso avviso di Pierluigi. «La situazione dal punto di vista sanitario è positiva rispetto all’anno scorso. C’è però più stanchezza dal punto di vista personale. È una cosa molto soggettiva. Sembra che non si riesca a fare nulla. Sono stanca però sembra che stiamo alla fine del tunnel. Tutti questi progetti distraggono molto e ci mantengono impegnati».