Avellino: oggi 190 anni del Convitto Colletta voluto dai Bonaparte

Avellino: compie 190 anni il Convitto Colletta voluto dai Bonaparte

Auguri Convitto, buon 190esimo compleanno! Oggi sono giusto 190 anni dall’inaugurazione della celebre struttura di Corso Vittorio Emanuele di Avellino. Scopriamo la sua storia.

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L’istituto, oggi sede di scuole elementari, medie e superiori, è dedicato al celebre patriota e storico italiano Pietro Colletta.

Il Convitto Colletta presentato dagli alunni

Il Convitto voluto dai Bonaparte

Come dicevamo, oggi sono 190 anni dalla nascita del Convitto Colletta. La sua nascita è stata sancita nel 1807, quasi trent’anni prima della sua inaugurazione.

Giuseppe Bonaparte, fratello maggiore del celebre Napoleone, era a capo del Regno di Napoli in sua rappresentanza quando stabilì che ogni provincia dello Stato dovesse avere un “Collegio Reale“.

Avellino, che all’epoca faceva parte della provincia del Principato Ultra, fu scelta come luogo per costruire il grande istituto in quanto capoluogo.

La burocrazia, lunga anche all’epoca, portò all’approvazione del progetto solo nel 1823.

Inaugurato il primo dicembre del 1831, il convitto di Avellino fu costruito a forma di “T” su un terreno di proprietà del sacerdote don Antonio Gallo, acquistato per 4mila ducati.

La forma a "T" del Convitto di Avellino.
La forma a “T” del Convitto di Avellino.

Convitto Avellino: le cattedre di prestigio

In origine la struttura presentava solo due piani. Toccherà aspettare il 1860 per la costruzione del terzo livello con l’orologio a campane.

Le cattedre istituite al Convitto di Avellino nei primi anni furono davvero tante e tutte molto prestigiose.

Prima tocca a quella di Diritto pubblico con i Padri Scolopi, poi il Liceo di Scienze Classiche con diverse cattedre a livello universitario.

Convitto Avellino: il Regio Liceo Ginnasio

Nel 1861 il Convitto di Avellino divenne Regio Liceo Ginnasio e Convitto Nazionale. L’istituzione fu sottratta ai padri Scolopi che negli anni l’avevano fatta diventare un centro d’idee liberali e rivoluzionarie.

Preso in consegna dal ministero dell’Istruzione del neonato Regno d’Italia, il Convitto fu intitolato a Pietro Colletta.

Il riconoscimento a De Sanctis

Nel 1917, nel pieno della prima guerra mondiale, gli studenti del Convitto Nazionale decisero di installare un busto di Francesco De Sanctis nel giardino antistante la storica istituzione.

L’obiettivo era ricordare per sempre uno dei politici irpini più importanti dei primi anni del Regno d’Italia.

Francesco De Sanctis
Francesco De Sanctis

Elogiato e spesso criticato per le sue idee lungimiranti anche in Irpinia, De Sanctis ha spesso soggiornato al Convitto Nazionale di Corso Vittorio Emanuele dove ha sempre trovato un’ottima accoglienza.

Seguì nel 1921 l’inaugurazione delle due lapidi in memoria dei giovani ex allievi caduti in battaglia durante la Grande Guerra.

Il Convitto di oggi

Tra gli anni sessanta e settanta ci è stata poi la grande scissione del Convitto di Avellino. Il Liceo Classico “Pietro Colletta” fu affidato alla nuova sede dei Cappuccini in via Tuoro.

Il palazzo di Corso Vittorio Emanuele restò in funzione grazie alle scuole elementari, medie e ginnasio. Qualche anno dopo tornò anche l’indirizzo liceale.

Al 1995 si deve poi l’istituzione di un corso di studi innovativo e al passo coi tempi: il Liceo Classico Europeo che fonde il passato con l’importanza delle lingue, del diritto e della cultura internazionale.

Oggi la struttura è in funzione come semi convitto ed è sede di scuola primaria, secondaria di primo grado e di secondo grado divisa in Liceo Classico e Liceo Classico Europeo.

Fascismo ad Avellino: ecco tutti i simboli. Vanno eliminati?

Mussolini ad Avellino

La storia lascia il segno. I ricordi dei momenti più bui, col passare del tempo, diventano fondamentali per evitare di ripetere gli errori del passato.

Nel 1943 in Italia si è chiuso uno dei capitoli peggiori della storia nazionale: il fascismo. Eppure ad Avellino i segni dell’industria totalitarista ci sono ancora.

Le pastorali fasciste

Passeggiando lungo Corso Vittorio Emanuele, basta girarsi a destra o a sinistra per notare una delle opere che meglio rappresenta la presenza fascista ad Avellino.

La pastorale: simbolo del fascismo ad Avellino
La pastorale: simbolo del fascismo ad Avellino

Si tratta dei lampioni o pastorali. Da un lato della base è visibile lo stemma del comune di Avellino: l’agnello con la bandiera cittadina seduto sul libro rosso.

Dall’altro lato invece campeggia un grande fascio littorio, simbolo principale della dittatura di Mussolini.

Il fascio littorio simbolo del fascismo ad Avellino.
Il fascio littorio simbolo del fascismo ad Avellino.

Lampioni di Avellino: a quando risalgono?

I fascisti avevano un calendario tutto loro. Contavano gli anni a partire dal 1922. Per intenderci il 1922 era l’anno primo (I in numero romano), il 1923 l’anno secondo (II) e così via.

Ogni pastorale, come ha spiegato lo storico Andrea Massaro, ha una netta indicazione dell’anno di installazione (XII, che significa 12esimo anno, il 1934 per capirci ndr.)

Accanto al fascio littorio ci sono i numeri romani che simboleggiano proprio in che anno ci trovavamo quando Avellino ha visto apparire la nuova illuminazione lungo il Corso principale della Città.

I tombini superstiti

Il simbolo del fascio littorio però non si è fermato solo ai lampioni. Se siete dei tipi attenti, avrete notato su alcuni dei tombini sparsi in città la stessa effige.

Con il passare dei decenni molti di questi tombini sono stati sostituiti e, chissà, forse alcuni si trovano ancora nei depositi comunali.

Fasci ovunque: mania di protagonismo?

Abbiamo affrontato con Andrea Massaro la questione della presenza dei simboli fascisti in tutto ciò che è stata costruito o installato in città durante il ventennio.

Dagli anni venti, c’era la prerogativa di rappresentare il fascio in ogni occasione…anche nel lavoro su oggetti come tombini e lampioni.

Sulle mura dei palazzi, come ci ha confermato lo stesso Massaro, venivano impresse scritte che inneggiavano a Mussolini come la nota «Dux» o l’emblema «Vincere e vinceremo!».

Il duce ad Avellino

La diffusione dei simboli fascisti in città coincide, quasi interamente, con il 1936, anno in cui nel capoluogo irpino sfilò il duce Benito Mussolini, il Re d’Italia e tanti altri gerarchi fascisti.

Avellino non si fece trovare impreparata.

Erano in corso le guerre coloniali in Etiopia, l’Italia stava acquisendo potere nella scena internazionale e Mussolini e Hitler iniziano ad avvicinarsi come non mai.

Il duce dopo essere passato per Napoli arrivò ad Avellino dove fu accolto con un’enorme “M” alta dieci metri all’ingresso dei platani. Una lettera che aveva la funzione di arco di trionfo.

fascismo ad Avellino Mussolini
La grande “M” in onore dell’arrivo del duce ad Avellino.

La sua visita in città terminò dopo ore di cortei e manifestazioni, quando Mussolini si affacciò sul balcone del Palazzo di Governo decordato per l’occasione con fasci luminosi sulla facciata.

Scopri qui la gallery sul fascismo ad Avellino del sito avellinesi.it

L’ex Gil

Un anno dopo la visita di Benito Mussolini in città, fu inaugurato anche il cinema al Palazzo della Gioventù italiana del littorio (ex Gil).

Con la sua architettura tipica dell’era fascista,la colonna in marmo in primis, era nato per allungare via Littorio (attuale Corso Europa).

Il progettista fu Enrico Del Debbio che inserì anche una sala cinematrografica all’interno del palazzo inaugurata nel 1937 con il nome di Cinema Eliseo. Da anni emblema di degrado e abbandono.

Simboli fascisti: vanno eliminati?

Ognuno di voi avrà un’idea diversa rispetto a questa tematica. C’è infatti chi sostiene che tutti i simboli riconducibili al fascismo debbano essere eliminati per cancellare ogni traccia di questo periodo e chi invece non è molto d’accordo.

Ecco, io rientro nel secondo gruppo. I simboli del fascismo su palazzi, lampioni, tombini e così via non vanno eliminati anzi, vanno conservati.

Sì, perchè ogni volta che camminiamo e li notiamo dobbiamo ricordarci di quello che il passato è stato. Perchè, come diceva George Santayana, «coloro che non ricordano il passato, sono condannati a ripeterlo».

Paolo Carafa: il papa irpino che perseguitò ebrei ed eretici

Papa Paolo IV Carafa

Nel 1555, mentre a Venezia veniva stampato il primo quotidiano d’Italia e Michelangelo Buonarroti stava scolpendo la sua ultima opera, la Pietà Rondanini, a San Pietro veniva eletto Papa un irpino: Gian Pietro Carafa. Sarebbe passato alla storia con il nome di Paolo IV.

Il Pontefice è nato infatti nell’attuale Capriglia Irpina e dalle pendici del Partenio ha iniziato la sua rivoluzione ecclesiastica. Certo, anche adottando scelte molto discutibili per il ruolo che ha occupato.

Chi è il Papa irpino?

Papa Paolo IV nacque da una delle famiglie nobili del Regno di Napoli. Grazie allo zio, il noto cardinale Oliviero Carafa, venne nominato cameriere pontificio di Papa Alessandro VI.

Due anni dopo venne eletto vescovo di Chieti, in Abruzzo e presto divenne anche ambasciatore in Inghilterra e Spagna.

Con il Santo della Provvidenza, Gaetano Thiene, fondò l’ordine dei Chierici regolari Teatini. Nel 2008 contava meno di duecento membri.

Sfuggito al Sacco di Roma del 1527, Gian Pietro Carafa diventò cardinale e si fece notare per il carisma e le idee anti protestanti e molto conservatrici.

Paolo IV Carafa, il Papa irpino
Paolo IV Carafa, il Papa irpino

L’elezione a Pontefice

Con il conclave del 1555, Gian Pietro Carafa venne eletto 223esimo vescovo di Roma.

Quando è stato eletto, Paolo IV aveva 79 anni. Il più anziano pontefice dalla nomina di Gregorio XII.

Inquisizione e lotta agli Ebrei

Paolo IV Carafa promosse a lungo politiche a sostegno dell’inquisizione contro gli eretici interni alla Chiesa e non solo.

Durante il suo pontificato, infatti, sono stati condannati numerosi uomini influenti a livello politico e clericale che negli anni precedenti avevano tentato di ostacolare l’ascesa al potere vaticano di Paolo IV.

Il “Papa irpino” fece riaprire processi già conclusi provocando condanne a molti imputati che erano stati prosciolti negli anni precedenti.

Con la bolla Cum nimis absurdum, Paolo IV promosse la discriminazione degli Ebrei.

Istituì infatti il primo Ghetto a Roma nel rione Sant’Angelo e condusse forti azioni per convertire alla religione cattolica numerosi ebrei e protestanti. L’alternativa? Era la morte.

L’indice dei libri proibiti

Papa Paolo IV creò il primo indice dei libri proibiti, emanato nel 1558.

Una proibizione in tre fasce: la prima comprendeva gli autori che non era concesso leggere, la seconda i titoli non ammessi e la terza i volumi di astrologia, magia e quelli che non avevano ricevuto il permesso della Chiesa.

Chiesa e politica

Paolo IV Carafa non ha rinunciato a numerosi scontri politici durante il suo pontificato.

Essendo un filofrancese, infatti, ha sempre visto la Spagna come un pericoloso nemico. Firmò un’alleanza con il re d’oltralpe per liberare il meridione italiano dalla presenza iberica.

Per l’intervento di Filippo II di Spagna si arrivò a una tregua: lo Stato Pontificio si dichiarò territorio neutrale.

Filippo II di Spagna
Filippo II di Spagna

Anche contro il Sacro Romano Impero Germanico, guidato da Carlo V d’Asburgo, Paolo IV non ebbe buoni rapporti sin dall’inizio della sua nomina.

Non mancarono infine tensioni con la corona inglese retta da Maria I Tudor, moglie di Filippo II di Spagna.

Avellino, il ministro mi risponde: Il Comune faccia rivivere quella chiesa

La Chiesa di San Nicola dei Greci ad Avellino

Il ministro della Cultura Dario Franceschini risponde alla mia lettera e chiama in ballo il comune di Avellino e il sindaco Gianluca Festa.

Bisogna riqualificare la Chiesa di San Nicola dei Greci. Governo e Soprintendenza ci sono. È ora di intervenire!

Chiesa di San Nicola: patrimonio dimenticato

Non è la prima volta che parlo della Chiesa di San Nicola dei Greci. Oltre a segnalare i soliti disservizi ho deciso di andare avanti.

È la comunità che cambia la città e non solo il sindaco, la giunta o il consiglio comunale.

Proprio per questo ho deciso di contattare direttamente il ministro della Cultura Dario Franceschini che subito si è attivato ed è intervenuto dopo la mia segnalazione.

Ma riavvolgiamo il nastro. Cos’è questa chiesa di San Nicola?

La chiesa di San Nicola dei Greci prima del totale abbandono
La chiesa di San Nicola dei Greci prima del totale abbandono. Fonte: www.cinquerighe.it

Chiesa di San Nicola: la storia

La chiesa di S. Nicola dei Greci, edificata secondo alcuni studi nel decimo secolo, era usufruita da un’importante comunità greca avellinese. Si trova alle spalle del Victor Hugo.

Dopo lo scisma delle due chiese del 1054, il culto ortodosso si conservò ancora per diverso tempo.
La chiesa venne sconsacrata nel corso del XVI secolo, ma fu riedificata nel suo sito originario a fine ‘600. Dopo il disastroso terremoto del 1732 venne riqualificata da una famiglia locale.

Parte della facciata dell’antica chiesa si è conservata fino al terremoto del 1980 che in Irpinia ha fatto danni enormi.

Oggi i resti della Chiesa antica, forse una delle testimonianze più importanti della comunità greca ad Avellino, versano in completo abbandono e la proprietà del bene è contesa tra il comune di Avellino e i privati. 

Rifiuti, erbacce e abbandono hanno ricoperto totalmente una struttura storica fondamentale che in altre città sarebbe stata valorizzata al massimo già da tempo.

https://youtu.be/eflz6pT1oCY
Le condizioni della Chiesa di San Nicola ad Avellino. Fonte: Thewam.net

Franceschini: il comune intervenga

Viste le mie varie segnalazioni fatte a mezzo stampa cadute nel vuoto, ho inviato una mail al Ministero dei Beni Culturali, diretto da Dario Franceschini.

Dopo qualche settimana ho ricevuto una risposta, con tanto di numero di protocollo e firma della segreteria.

«Il tempo intercorso tra la tua lettera e la nostra risposta è stato quello necessario alla Soprintendenza Abap Salerno e Avellino per effettuare il sopralluogo alla Chiesa di San Nicola dei Greci in Avellino», è scritto nella nota.

«L’opera di restauro potrà essere realizzata unicamente in condivisione con il Comune di Avellino che, in quanto parzialmente proprietario del bene, è tenuto a una serie di adempimenti cui la Soprintendenza potrà dare seguito».

Per il Ministero dei Beni Culturali, il comune deve non solo progettare i lavori e fare una prima stima dei costi, ma anche trovare i giusti accordi con la Soprintendenza sulle finalità dell’intervento e sulle prospettive di utilizzo e manutenzione del bene.

La Soprintendenza si è già attivata per sollecitare un incontro con l’Amministrazione comunale che, si legge nel corpo della mail «non ha dato alcun esito».

La lettera di risposta del Ministero dei Beni Culturali
La lettera di risposta del Ministero dei Beni Culturali

La mia speranza: l’intervento del comune

Dopo questo ennesimo sollecito anche da parte del ministero dei Beni Culturali, mi auguro che l’amministrazione Festa decida di intervenire.

Auspico che chiunque, sia dalla maggioranza che dall’opposizione, si metta al lavoro per recuperare un bene fondamentale.

Avellino dalla Dogana, dal Duomo, dalla Torre dell’Orologio e dalla Chiesa di San Nicola dei Greci deve ripartire se non vuole morire.

Ora basta promesse, parole e sogni.

È ora di trasformare tutto in realtà. Su su…tutti al lavoro!

Dogana Avellino, idea parco eventi per restituirle dignità

Dogana di Avellino antonio dello iaco

La Dogana di Avellino…sono anni che se ne parla e nessuno fa nulla. Pensate che un giovane come me la ricorda sempre avvolta da tubi e impalcature per evitare che cada.

Eppure per secoli ha attirato artisti e intellettuali da ogni angolo d’Italia. E se si ripartisse da un’area verde da destinare a eventi culturali?

Dogana Avellino
Come appariva la Dogana in passato

La Dogana di Avellino: un patrimonio unico

Grazie ad Andrea Massaro e al libro “La Dogana di Avellino” di cui mi ha omaggiato, ho potuto conoscere nel dettaglio tutta la storia di uno dei monumenti più trascurati della nostra città.

La principale funzione della Dogana era quella di una moderna “borsa” del grano in quanto fissava sul mercato i prezzi dei cereali e di tanti altri prodotti.

Nel 1674 Cosimo Fanzago, uno dei massimi esponenti del barocco napoletano, restaurò del tutto la Dogana donandole anche un spetto più moderno e abbandonando lo stile medievale.

Custodita dall’obelisco dedicato al re bambino, Carlo II d’Asburgo, la Dogana ha assistito a tutte le principali vicende storiche della città. Dalle rivolte popolari, alle conquiste, ai periodi floridi al secondo conflitto mondiale e al terremoto del 1980.

I danni della Dogana di Avellino con i bombardamenti del 1943
I danni della Dogana di Avellino con i bombardamenti del 1943.
Fonte: http://historyfiles.altervista.org/

Con l’abolizione della feudalità, inizia il declino della Dogana di Avellino. Si iniziò a pensare a un restauro totale della vecchia dogana già nel 1835 ma nessun progetto fu mai approvato.

I danni dei terremoti del 1694, 1732 e 1980 sono stati enormi. A questi va aggiunto il tragico incendio che ha colpito la Dogana negli anni ’90 e tutta la querelle per l’acquisizione da parte del comune di Avellino del monumento che hanno solo ritardato il restauro di un nostro simbolo.

La Dogana in America

Come ha scritto Massaro nel suo libro, della Dogana se n’è parlato anche negli Usa durante la fiction The Sopranos. Nella dodicesima puntata, l’avellinese Isabella (interpretata da Mariagrazia Cucinotta) parla dei danni del terremoto del 1980.

Dice proprio che «non c’è rimasto molto, soprattutto dopo il terremoto, ma in una piazza del centro c’è un palazzo. È del seicento, un vero capolavoro, il Palazzo della Dogana».

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Tra idee, politica e archistar

Poche settimane fa il sindaco di Avellino Gianluca Festa ha annunciato di aver dato al noto architetto Massimiliano Fuksas l’incarico di progettare il restauro della Dogana di Avellino.

Massimiliano Fuksas

Come sempre l’opinione pubblica si è divisa. C’è chi crede che questa possa essere una reale possibilità per restaurare la Dogana e chi pensa che non fosse necessario spendere migliaia di euro solo per un progetto.

In più c’è chi oramai crede molto poco alla parola delle istituzioni. Dopotutto sono anni che viene promesso il restyling della Dogana e nessun amministratore è stato capace di dare seguito alle sue parole.

Dogana: c’è davvero la volontà di salvarla?

Io sono sempre dell’idea che se si vuole fare qualcosa si può fare. È una vergogna che in tutti questi anni nulla sia stato portato a termine.

Eppure in tutte le altre città d’Italia, monumenti come quello della Dogana non sarebbero rimasti nemmeno un anno in queste condizioni.

La Dogana di Avellino
La Dogana di Avellino

Viviamo in una città che ha tante potenzialità e che davvero potrebbe sfruttare le poche ma importanti bellezze che ha per diventare di nuovo un punto di riferimento della Campania e del sud Italia.

Bisogna essere più uniti perché solo se protestiamo, segnaliamo e alziamo la voce tutti insieme e in modo civile che le cose davvero cambieranno.

La mia idea per la Dogana

Da giovane che ama Avellino, non posso non dare la mia idea sulla Dogana che verrà.

Desidero tanto che il sontuoso palazzo, di cui resta solo la facciata di altissimo valore storico e culturale, non diventi un nuovo “scatolone” chiuso che la città non potrà sfruttare.

Sì, rischiamo di fare la fine dell’Eliseo, del Casino del Principe (prima che arrivavassero i ragazzi di Avionica), dell’ex asilo Patria e Lavoro e di tante altre strutture di Avellino abbandonate.

Io restaurerei solo la facciata e creerei uno spazio verde o uno spiazzo per concerti ed eventi vari alle spalle dell’opera del Fanzago.

Dopotutto nel centro storico cittadino verde pubblico non ce n’è e uno spazio che connetta piazza Amendola al retro della Dogana sarebbe facilmente sfruttabile per degli eventi culturali.

L’albero di Rockefeller Center ha origini irpine: la storia

rockefeller center albero irpinia origini

L’albero di Natale più famoso del mondo, quello di Rockefeller Center, ha origini italiane o meglio irpine. Sì, avete capito bene. A svelarlo è stata una pagina dedicata ai racconti di personaggi di New York famosi e non, di ieri e di oggi.

L’albero di Rockefeller Center è irpino

Secondo la page New York Tales, infatti, l’idea di mettere un albero al centro di uno dei più grandi complessi privati al mondo nella famosa contea di New York (Manhattan) è tutta irpina.

Degli operai italiani, prima di rientrare a casa, avevano avuto l’idea di installare un grosso abete e di decorarlo come meglio potevano. Era il 24 dicembre sera del 1931.

Pulirono per bene la zona e piazzarono al centro della piazza l’albero. Non avevano luci nè decorazioni e così, con l’aiuto delle loro scale, decisero di usare dei barattoli di vernice vuoti, delle corde da impalcature e altri materiali edili per allestire l’albero.

Il loro datore di lavoro decise di premiarli con un aumento sulla paga mensile.

Cosa c’entra l’Irpinia?

La maggior parte degli operai veniva dalla Campania e precisamente dalla provincia di Avellino. L’idea di piazzare un albero, in quello che oggi è uno dei centri direzionali più famosi al mondo, è stata del capo cantiere, originario di Montoro.

La pagina Facebook lo ha descritto come «un muratore con le mani grandi come badili e il cuore ancora più grande di quelle mani».

Il Natale era un evento molto sentito anche oltreoceano. Per i milioni italiani emigrati all’estero, infatti, questa festività era l’opportunità per passare del tempo in più in famiglia ricordando le tradizioni e le radici che si erano dovute abbandonare.

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L’albero di Natale a Rockefeller Center.

Il dialogo tra gli operai

La page New York Tales ha ricostruito il dialogo tra gli operai che parlavano in dialetto irpino.

Il capo cantiere originario di Montoro, in provincia di Avellino, disse (tradotto dal dialetto irpino): «Prima di andare a casa, potremmo fare una cosa. Mettiamo un bell’albero al centro della piazza e decoriamolo con quello che abbiamo. Poi andremo dalle nostre famiglie a festeggiare il Natale e, al nostro ritorno, l’albero sarà ancora qui».

«Ma non abbiamo niente! Abbiamo solo delle latte vuote di vernice, un po’ di carta stagnola, qualche corda e un po’ di lacci. – risposero gli operai -. Verrà uno schifo, non lo guarderà nessuno e faremo pure una pessima figura»

Il capo cantiere convinse gli operai dicendo: «Verrà bellissimo e ne parleranno tutti».

Anche l’anno successivo gli operai installarono l’albero all’ingresso di Rockefeller Center. Due anni dopo fu la volta dell’inaugurazione del grande centro direzionale.

Per l’occasione le decorazioni dell’albero furono migliorate e ci fu la prima accensione ufficiale. Indimenticabile, come quel gesto di cuore degli operai irpini.

Avellino, “Covid hospital” già durante Colera e Spagnola

covid hotel avellino

«Tutta la storia non è che una lunga ripetizione: un secolo plagia l’altro», disse Victor Hugo e probabilmente aveva ragione.

In questo periodo di emergenza sanitaria ci siamo resi conto di come tante abitudini adottate nel passato durante le pandemie dei secoli scorsi, sono state rispolverate per fronteggiare il Coronavirus.

Anche Avellino, che per altro ha proprio un palazzo intitolato ad Hugo, ha affrontato diverse epidemie con i lazzaretti. Covid Center prima del coronavirus. Anche allora, come oggi, le parole d’ordine erano isolamento e distanziamento.

I Covid Hotel dell’800

Nelle ultime settimane in Italia si sta sempre più parlando di Covid Hotel per accogliere i malati meno gravi di Coronavirus che non possono restare a casa con i loro familiari.

Questa idea, come potete immaginare, prende esempio dai vecchi Lazzaretti dove i malati seguivano la quarantena in attesa della guarigione.

Oltre un secolo fa anche ad Avellino le amministrazioni comunali avevano aperto ben due “hotel” per i malati meno gravi di Colera e Spagnola.

Dove si trovavano?

A svelare questa curiosità storica avellinese ci ha pensato sui social lo storico Andrea Massaro.

«La città di Avellino ha avuto tra le sue strutture vari lazzaretti in epoche diverse. L’ultima, in ordine di tempo, richiama la terribile influenza, la “spagnola”, che fece 50 milioni di vittime e che infuriò negli anni 1918-20», ha scritto Massaro.

L’esperto della storia irpina ha infatti raccontato che uno dei diversi “Hotel” per i malati si trovava in località Santo Spirito, a pochi passi dall’attuale Parco Manganelli di via Francesco Tedesco.

Questo lazzaretto poi fu messo in vendita insieme ad altri beni importanti della città nei primi anni successivi all’epidemia a causa del forte deficit dei bilanci comunali.

La foto dell’atto di avviso s’asta per la vendita del lazzaretto (Fonte: Andrea Massaro)

Un’altra struttura poi, che risale invece all’epidemia di Colera di fine ottocentro, si trovava tra il Convento dei Cappuccini e la Scuola Agraria.

Storia breve di Avellino: fra re, papi e contesse

Qual è l’origine di Avellino. Sapevate che i Romani hanno sempre considerato le terre d’Irpinia come un punto strategico? E che Ruggero d’Altavilla è stato nominato Re di Sicilia qui dall’Antipapa Anacleto II?

Tutto partì da Abellinum

Secondo alcune ricostruzioni storiche, la città di Avellino è nata intorno all’82 avanti Cristo in un luogo vicino all’attuale capoluogo irpino, precisamente nell’odierna Atripalda..

Si narra che Silla, sconfitti Sanniti e Irpini, fece costruire una colonia militare, Abellinum. L’originale insediamento seguiva i classici dogmi dell’epoca. La città era divisa in cardi e decumeni.

In età repubblicana Roma la dotò di organi istituzionali e fece costruire uno degli acquedotti più grandi dell’epoca che collegava Serino, in Irpina alla città napoletana di Bacoli.

I Longobardi

Con la diffusione del Cristianesimo iniziarono anche qui le persecuzioni. I primi martiri furono Modestino, Flaviano e Fiorentino poi divenuti santi e patroni di Avellino.

I Longobardi distrussero l’antica Abellinum. Gli abitanti si rifugiarono così nell’attuale collina della Terra, dove ore sorge il Duomo e tutta la parte antica di Avellino.

Durante il dominio longobardo, fu costruito anche l’antico castello di cui oggi restano solo i ruderi. Nell’896 per la prima volta si ha notizia di un Oppidum Abellinum. In quell’anno Guido II di Spoleto cercò di attaccare Avellino. È del 12esimo secolo poi la prima testimonianza scritta sui documenti notarili, della presenza del castello.

Il Regno delle due Sicilie nacque qui

Con l’arrivo dei Normanni la città visse un periodo fiorente. Nel 1130 nel Duomo di Avellino, l’antipapa Anacleto II consegnò una bolla a Ruggero II d’Altavilla che anticipò la sua nomina a Re di Sicilia, Calabria e Puglia.

Aveva così inizio il Regno delle due Sicilie. Le dispute tra Ruggero e il cognato Rainulfo, conte di Avellino, però sono sempre più insistenti. Inizia così una guerra tra i due che si estede fino in Puglia.

Ruggero si afferma sul cognato e lo invia a Roma per proteggere l’Antipapa. Così il re di Sicilia ha la possibilità di ristabilire l’ordine e di confiscari anche diversi territori a Rainulfo.

La punizione di Innocenzo II

Lotario, con l’appoggio di Innocenzo II, decise di scendere in Irpinia per fermare l’espansione di Ruggero e per punirlo.

In quel momento però il sovrano era in Sicilia. Il Papa e Lotario entrarono nella città senza molte difficoltà. Così Ruggero decise di punire il suo popolo attaccando e distruggendo il castello e le altre costruzioni.

Intorno al 1400, con l’arrivo degli Aragonesi, la città fu distrutta di nuovo. Troiano Caracciolo infatti si scontrò con Alfonso d’Aragona venuta da Nola proprio per prendere possesso di un nuovo territorio. Dopo un trattato di pace il castello fu ricostruito.

Una grande donna a capo

Nel 1513 Maria de’ Cardona ricevette in eredità la contea di Avellino. Donna di grande fascino e competenze ne fece rifiorire l’economia e la cultura. Maria de’ Cardona creò intorno a sè un circolo illustre e fondò anche l’accademia culturale dei Dogliosi.

La famiglia Caracciolo con Marino II fece proseguire la crescita culturale di Avellino dando ancor più vigore all’accademia.

Tanti ospiti illustri

Il Castello di Avellino fu un luogo di ritrovo per tanti artisti e personaggi illustri. Grazie a Marino II fu trasformato in palazzo reale e così la cultura fu incentivata.

Tra gli artisti che più diedero lustro alla città c’è Cosimo Fanzago, il più prestigioso esponente del barocco napoletano.

All’interno del Castello furono ospitate la regina d’Ungheria e l’imperatrice Maria d’Austria. Passò qualche giorno nel centro storico avellinese anche il principe Zaga Christos, pretendente dell’Etiopia.

Da Masaniello ai moti carbonari

Nel 1647, durante la rivoluzione di Masaniello, i popolani di Montoro cacciarono con forza dal castello il principe di Avellino Francesco Marino. Al suo posto si autoproclamò un certo Di Napoli. Il duca di Guisa, reggente del territorio però, lo fece subito arrestare.

Anche duecento anni dopo, durante i moti carbonari del 1820, Avellino fu protagonista. Ferdinando di Borbone, dopo le insistenti proteste, anche violente, dei cittadini, dovette concedere una costituzione agli abitanti.

Traguardi e danni

Nel 1888 Avellino fu una delle prime città di tutto il Paese ad avere l’illuminazione elettrica pubblica. Dopo l’Unità d’Italia però l’economia crollò e i terremoti del primo novecento provocarono importanti danni.

Il 14 settembre del 1943 Avellino è stata bombardata dagli Alleati con l’obiettivo di bloccare i nazisti. Le bombe, per errore, esplosero nella piazza del mercato causando la morte di circa 3mila persone.

L’obiettivo principale era infatti il vicino Ponte della Ferriera, collegamento strategico per gli hitleriani.

Quei terribili 90 secondi

Un altro evento drammatico che ha colpito la città di Avellino è stato il sisma del 23 novembre del 1980. La terrà tremò per novanta secondi con epicentro in alta Irpinia, tra Conza della Campania e Teora, provocando ingenti danni.

La scossa fu di magnitudo 6.9 e provocò oltre 280mila sfollati in tutta la regione. I morti furono quasi 3mila mentre i feriti 8.848.

A quarant’anni da quel terribile giorno anche il capoluogo mostra ancora le ferite del terremoto che ha segnato per sempre la storia di Avellino.