“Un lavoro per dire ci sono”, il sogno normale di un ragazzo speciale

"Un lavoro per dire ci sono", il sogno normale di un ragazzo speciale

«Ripartiamo». È questo lo slogan scelto per celebrare oggi la giornata nazionale delle persone con sindrome di Down del 2021.

Nelle piazze di tutta Italia si stanno organizzando eventi per sensibilizzare cittadini e istituzioni sui tanti diritti negati. Uno su tutti, il più importante: quello al lavoro.

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Proprio sul tema abbiamo ascoltato la famiglia di Antonio Mele di Lapio, 19enne affetto da sindrome di down. Un ragazzo dai tanti sogni che vuole solo realizzare in fretta.

Antonio e il problema di tanti

Antonio si è diplomato da meno di un anno all’Istituto Alberghiero di Avellino. Il problema di quasi tutti i ragazzi della sua età è uno: riuscire a trovare lavoro.

Negli anni, grazie all’aiuto di compagni, docenti e dirigente, Antonio è riuscito a fare tante esperienze in ristoranti, bar e locali.
È un ragazzo pieno di forza di volontà e soprattutto di capacità. Va solo aiutato le prime volte.

La famiglia ci ha detto: «Questi ragazzi finito il percorso scolastico con il diploma, sono lasciati da soli. Si fa tanto a parlare di integrazione, anche se non ci sono possibilità reali. Non c’è nessuno che li faccia sperimentare e mettere davvero in gioco».

Le tante capacità dei ragazzi down

«I ragazzi con sindrome di down sono molto metodici, precisi e ordinati», ci ha spiegato la cugina psicologa di Antonio, Giusy. Potrebbero affacciarsi a molti mondi lavorativi.

«Sono autonomi, assolutamente, ma devono essere sostenuti e indirizzati». In caso di assunzione infatti sarebbe necessaria la presenza costante di un tutor che li aiuti nel comprendere come svolgere al meglio le proprie mansioni.

La necessità di farli sentire “parte della società”

Dare un lavoro a questi ragazzi non è una questione puramente economica. È importante che i ragazzi come Antonio siano impegnati, che si sentano utili.
Le tante ore della giornata non possono e non devono passarli in casa in quattro mura.

Per fortuna Antonio riesce a tenersi impegnato. La mamma ci ha raccontato del grande aiuto che fornisce in famiglia.

«È bello vedere la sera quando va a letto leggere sul volto di Antonio la soddisfazione di essere stato utile a qualcuno. È solo questo che conta per lui».

Antonio Mele e la mamma Maria Grazia
Antonio Mele e la mamma Maria Grazia

La voglia di un lavoro per crearsi una vita

Antonio è uno di quei ragazzi che vuole a tutti costi una propria indipendenza. Desidera trovare lavoro e non perde mai occasione per ribadirlo.

«Ogni volta che si apre una discussione, Antonio ci ricorda sempre che vuole lavorare. È il prerequisito per sviluppare il resto della vita e trovare una ragazza», ci ha confessato la mamma.

A Lapio il 19enne è ben voluto. A scuola è stato fortunato. Adesso la famiglia sta iniziando a presentare le carte all’ufficio di collocamento. La burocrazia è tanta.

«Oggi voglio fare un appello a tutti – ha affermato la mamma di Antonio -. Ci sono tanti ragazzi affetti dalla sindrome di down nelle nostre comunità che cercano riscatto. Vogliono solo entrare a far parte della società».

«Non lo dico solo da madre, ma da donna che vuole sentirsi parte di una società più giusta. Un posto dove nessuno sia lasciato indietro per davvero. Slogan simili sono abusati, ma credo che la loro essenza sia genuina. I tanti Antonio che ci sono nei nostri paesi, spesso silenziosi in attesa di un’opportunità, meritano di non essere lasciati soli».

Antonio ha anche un’aspirazione politica.

«In un futuro il suo sogno è diventare sindaco di Lapio. Lo dice sempre – ci ha rivelato la mamma -. È poi un grande appassionato di tecnologie».

«Noi non pretendiamo un lavoro a tempo pieno per Antonio – continua – ma almeno la possibilità di occupare la giornata e fare nuove esperienze».

La necessità di un piano ad hoc

La famiglia di Antonio ha sperimentato tutte le difficoltà che i ragazzi affetti da sindrome di down trovano sul loro cammino.

Per risolvere questa problematica si potrebbero creare dei progetti dedicati a loro. Aziende ed enti locali potrebbero portare avanti questa battaglia e, perché no, trarne beneficio sia sotto l’aspetto economico che umano.

La cugina di Antonio ci ha detto che a Roma sono state assunte delle persone down alla Stazione Termini. Fanno da segretari e svolgono molto bene le loro mansioni.

Grazie all’aiuto di un tutor i ragazzi sono riusciti a muoversi in giro per la città da soli e si sono aperti alle relazioni e alla società.
Questa è la prova che, con un po’ di impegno da parte di tutti, anche loro possono davvero riscattarsi e dare un senso alla loro vita.

«Io li chiamo ragazzi sorriso – ha spiegato la mamma del 19enne -. Sono pieni di sogni e voglia di fare. Antonio è stato un dono per me e per tutti quelli che lo conoscono».

«Il messaggio che voglio lanciare è sensibilizzare il contesto pubblico ad aprirsi a offrire queste esperienze a persone come loro. Sono ragazzi validi che hanno solo bisogno di opportunità. Dimenticarsi di loro, significa cancellarli per sempre».